PSICHIATRIA, FITOTERAPIA E BUONSENSO

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Diego Fayenz

Psichiatra e Psicoterapeuta

PSICHIATRIA, FITOTERAPIA E BUONSENSO

Per fare una terapia è necessaria una diagnosi. Vi sono oggi criteri di valutazione riconosciuti a livello internazionale (per es. DSM) che aiutano in questa fase e che, opportunamente usati, permettono di accelerare i tempi di intervento e di ridurre i rischi da errore.
Questo vale sicuramente per problematiche medico/cliniche (diabete, malattie cardiache ecc.) ma quando entriamo nel campo psicologico/psichiatrico lo scenario cambia e dobbiamo assolutamente usare il buonsenso per evitare nei limiti del possibile etichettature che possono incidere anche sulla vita lavorativa. Bisogna fare comunque una diagnosi che in questo campo ha centinaia di sfumature diverse di persona in persona e permettono di conseguenza approcci diversi.

Per una piccola parte di persone (non solo gravemente depresse o maniacali ma anche quelle con un grave e documentato distacco dalla realtà), è necessario un intervento psicofarmacologico ben dosato (attenzione ai sotto o sovradosaggi!).
La diagnosi però dev’essere sempre fatta valutando l’uomo nella sua completezza di essere umano inserito in un contesto socio familiare. Cerchiamo di non abusare del termine “olistico” tanto di moda oggi anche nella new age.
Facciamo un esempio : una persona di 50 anni, licenziata e senza prospettive di lavoro, può essere molto depressa (sarebbe anormale se non lo fosse!) ma più che di psicofarmaci ha bisogno di un supporto psicologico. In queste situazioni in una piccola percentuale si potrà arrivare anche all’uso di psicofarmaci, ma siamo di solito in presenza di persone con precedenti difficoltà mascherate o volutamente nascoste.

In tutti i casi però è difficile e rischioso per il medico non dare psicofarmaci. Sentiamo dire “Se si uccide i parenti mi accuseranno di negligenza” (magari anche i colleghi!). Il farmaco “tutela” medico e familiari ed accontenta le case farmaceutiche. Per questo purtroppo viene dato anche quando non servirebbe.
Che percentuali di rischio reali? Probabilmente molto piccole ed ancora più piccole se il medico è attento alle reazioni comportamentali delle singole persone nel corso della loro vita, facendo una lunga ed accurata anamnesi con ripetuti colloqui con i pazienti.
In moltissime situazioni di disagio psicologico iniziale l’uso serio e con dosaggi adeguati di fitoterapia (non la tisana alla sera!) è più che sufficiente soprattutto se con adeguato supporto psicologico.

E chi meglio di un medico, buon conoscitore dei farmaci e dei loro effetti collaterali, che possiamo ritrovare anche nella fitoterapia, può decidere di non usare farmaci e farlo solo quando sono indispensabili?
E che dire dell’effetto “placebo”? Ognuno di noi quando viene stimolato da meccanismi mentali può produrre all’interno del proprio organismo composti chimici che avranno un effetto simil farmacologico, ma che comunque hanno la propria, seppur piccola , utilità.
Il terapeuta paziente ed onesto deve saper usare anche questo metodo di aiuto con una mirata presenza vicino al paziente.